L’articolo pubblicato su Nature il 23 aprile 2025, intitolato “Punic people were genetically diverse with almost no Levantine ancestors”, rappresenta un contributo fondamentale alla comprensione delle dinamiche genetiche e demografiche del mondo fenicio e punico nel Mediterraneo centrale e occidentale. Questo studio multidisciplinare, firmato da un consorzio internazionale di genetisti, archeologi e bioantropologi, tra cui nomi di rilievo come David Reich, Peter van Dommelen, e Iñigo Olalde, rivoluziona le narrazioni tradizionali sull’origine e la composizione dei popoli punici.
Punti salienti dello studio:
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Campionamento genetico esteso e metodologicamente rigoroso
Sono stati analizzati i genomi di 210 individui, di cui 196 provenienti da 14 siti archeologici associati ai Fenici e ai Punici, distribuiti tra il Levante, il Nord Africa, la Penisola Iberica, Sicilia, Sardegna e Ibiza. Il campione include anche un individuo dell’Età del Ferro precoce dall’Algeria, offrendo una base comparativa cruciale. -
Assenza quasi totale di ascendenza levantina nei Punici occidentali
I risultati indicano una trascurabile componente genetica levantina nei Punici tra il VI e il II secolo a.C., nonostante l’evidente continuità culturale, linguistica e religiosa. Ciò smentisce l’assunto storicistico secondo cui le colonie puniche sarebbero state popolate direttamente da migranti fenici della costa siro-libanese. -
Predominanza genetica egea e siciliana
L’ascendenza principale rilevata nei Punici occidentali è simile a quella di popolazioni preesistenti in Sicilia e nell’Egeo, suggerendo un importante processo di assimilazione locale e di sincretismo culturale. -
Influenza nordafricana carthaginese, ma minoritaria
Sebbene Cartagine abbia esercitato un’influenza geopolitica crescente, la componente genetica nordafricana è minoritaria anche a Cartagine stessa, implicando che l’espansione punica fu più culturale che demografica. -
Elevata eterogeneità genetica tra i siti
Tutti i siti analizzati presentano una notevole diversità genetica, segno di intensi scambi mediterranei e mobilità regionale, coerenti con un modello di interconnessione reticolare piuttosto che di colonizzazione diretta.
Implicazioni teoriche e storiografiche:
Questo studio ha conseguenze profonde:
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Decostruzione del modello diffusionista: contrariamente al paradigma classico incentrato su una diaspora fenicia diretta dalla madrepatria levantina, i dati genetici indicano un processo di adozione culturale da parte di popolazioni locali già geneticamente distinte.
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Rilettura del colonialismo fenicio: le cosiddette “colonie” puniche appaiono ora come poli culturali autonomi, che adottano e reinterpretano elementi fenici, piuttosto che semplici avamposti della metropoli.
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Conferma genetica delle ipotesi di Van Dommelen: già nel suo lavoro su Sardegna e Cartagine (Van Dommelen 1998; 2003), l’archeologo olandese aveva ipotizzato una “colonizzazione come interazione”, piuttosto che imposizione culturale. I dati genetici ora convalidano empiricamente questa visione.
Fonti bibliografiche principali:
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Aubet, M.E. (2001). The Phoenicians and the West.
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López-Ruiz, C. (2022). Phoenicians and the Making of the Mediterranean.
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Van Dommelen, P. (1998). Punic Persistence: Colonial Architecture in North Africa.
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Roppa, A., Botto, M., Van Dommelen, P. (2021). Il Mediterraneo Occidentale dalla fase fenicia all’egemonia cartaginese.
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Reich, D. et al. (2025). Punic people were genetically diverse with almost no Levantine ancestors. Nature.
Riflessioni conclusive
Lo studio, oltre a ridefinire il ruolo genetico e culturale dei Punici nel Mediterraneo occidentale, apre nuove prospettive per analisi comparate con altri popoli cosiddetti “colonizzatori” dell’antichità, come i Greci e i Romani. È ora necessario rivalutare anche le interazioni sardo-puniche alla luce di questi dati: la Sardegna nuragica potrebbe aver giocato un ruolo molto più attivo, come centro di elaborazione culturale e non solo come territorio “colonizzato”.
Procediamo con una disamina comparata tra i risultati dello studio genetico pubblicato su Nature (2025) e le ipotesi avanzate nel Paradigma Sardo-Corso-Atlantideo, specialmente in riferimento alla continuità genetico-culturale tra le popolazioni nuragiche e quelle puniche, e alla natura non-levantina della cosiddetta “colonizzazione fenicia”.
1. Dati genetici e paradigma sardo-corso-atlantideo: convergenze significative
➤ Assenza di genetica levantina nei Punici occidentali
Lo studio afferma:
“Levantine Phoenicians made little genetic contribution to Punic settlements in the central and western Mediterranean between the sixth and second centuries BCE.”
Questa evidenza genetica conferma indirettamente un punto centrale del paradigma sardo-corso-atlantideo: la non-levantinità sostanziale della componente “punica” nei territori come la Sardegna. Ciò sostiene l’ipotesi che le popolazioni locali, come i nuragici, non siano state sostituite da migranti fenici, ma abbiano assimilato elementi culturali levantini in modo autonomo e selettivo.
2. Etnogenesi punica e substrato indigeno sardo-nuragico
L’analisi genomica dei resti umani punici indica una forte componente autoctona, geneticamente affine ai gruppi dell’Egeo e della Sicilia. Si tratta di aree già in contatto con la Sardegna in epoca protostorica.
Nel contesto del paradigma atlantideo:
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La civiltà nuragica, sviluppatasi a partire dal II millennio a.C., mostra già contatti con l’Egeo (ad es. Micenei), sia nella ceramica che nella metallurgia, e rappresenta una matrice genetica ed economico-culturale resiliente.
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La presenza punica in Sardegna (Tharros, Nora, Sulci) non comporta discontinuità genetica, ma piuttosto una mutazione stilistica e religiosa indotta da processi di acculturazione sincretica.
➤ Interazione e non sostituzione
Peter van Dommelen (2003) aveva già ipotizzato una “colonizzazione dialogica” e non unidirezionale, e i dati genetici ora ne forniscono la prova biologica.
3. Carthage come epicentro culturale più che genetico
Il nuovo studio afferma che persino a Cartagine, il contributo genetico nordafricano (berbero) era minoritario, e quello levantino praticamente assente. In linea con ciò, il paradigma sardo-corso-atlantideo ipotizza che la centralità carthaginese fosse ideologica e imperiale, non demografica.
➤ Implicazione per il Sulcis
Se, come sostiene il paradigma:
“Il Sulcis rappresentava la vera capitale di Atlantide, poi reinterpretata e risignificata da Cartagine”,
allora i dati genetici sembrano suggerire che Cartagine abbia ereditato e rielaborato un potere simbolico preesistente, in parte proveniente da popolazioni paleo-sarde atlantidee, piuttosto che fondarne uno ex novo di matrice levantina.
4. Convergenze con l’ipotesi dei Nuragici come progenitori dei Punici locali
I risultati genomici indicano una composizione genetica punica più vicina alla Sicilia e all’Egeo che al Levante. Questo porta a riflettere sulla possibile trasformazione culturale dei Nuragici in Punici, attraverso l’adozione selettiva di simboli religiosi, alfabeti e modelli urbanistici fenici, ma mantenendo una continuità di popolazione.
Ipotesi correlata: alcuni “Punici” erano nuragici riformulati culturalmente, specialmente nei centri portuali (es. Sulci, Nora), in seguito alla caduta del sistema nuragico e all’arrivo delle nuove reti commerciali mediterranee.
5. Conseguenze per la lettura dei miti classici (Platone, Erodoto)
Se accettiamo che i Punici occidentali non erano fenici di stirpe, ma popolazioni autoctone “fenicizzate”, allora possiamo:
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rileggere Platone (Timeo e Crizia) come una trascrizione mitizzata delle culture sardo-corso-nuragiche, che furono poi inglobate e reinterpretate dalla narrazione imperiale punica;
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comprendere le confusioni di Erodoto tra Libi, Atlanti, Ammonii, e Fenici come il riflesso di popolazioni ibride e sincretiche, la cui genetica non corrispondeva alla narrazione etnografica greca.
6. Verso un modello genetico per Atlantide?
Questo studio di Nature fornisce una traccia genetica concreta per ipotizzare un modello paleo-demografico atlantideo, centrato su:
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substrato sardo-nuragico;
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influenze egee e micenee;
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marginale influenza nordafricana;
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quasi assente apporto levantino diretto.
In questo senso, si delinea la possibilità di ricostruire un profilo genetico dell’“Atlantideo occidentale”, radicato nel blocco geologico sardo-corso, coerente con i dati batimetrici, linguistici e culturali discussi nel paradigma.
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