Le Amazzoni di Mirina in Provincia di Cagliari sul Lago Tritonide
Secondo l’interpretazione di Luigi Usai delle Storie di Erodoto, la Libia è il nome dato da Erodoto alla Provincia di Cagliari e il Lago Tritonide è l’insieme dei laghi di Cagliari, Quartu, Assemini, Elmas e Capoterra. Chiarimento: gli antichi vedevano un’unico grandissimo lago, ma noi oggi l’abbiamo frammentato con almeno 5 nomi diversi: un pezzo l’abbiamo chiamato Stagno di Capoterra; un altro l’abbiamo chiamato Molentargius; un altro l’abbiamo chiamato Stagno Conti Vecchi; un’altra frazione del Lago Tritonide l’abbiamo chiamato Stagno di Santa Gilla… così, tutti coloro che ascoltano, hanno l’impressione che a Cagliari vi siano moltissimi stagni e laghi. Invece gli antichi vedevano un’immenso unico, grande lago, che chiamarono Lago Tritonide. Il nome Tritonide significa “del Sovrano Tritone”, figura diventata leggendaria e mitologica. Diodoro Siculo (III, 52-55) afferma che le Amazzoni della Libia compirono gesta famose molte generazioni prima della guerra troiana. Secondo i loro miti, risiedevano su un’isola chiamata Espera (21 Luglio 2023 ore 14:20: non mi è ancora chiaro se Espera sia la Sardegna attuale oppure l’isola sardo-corso-atlantidea quando era terra emersa) per la sua posizione verso occidente, posta nella palude Tritonide. Le Amazzoni sottomisero molti Libi vicini (ricordiamo qui che si parla della Libia sarda e non della Libia Africana), fondando all’interno della Palude Tritonide una grossa città chiamata Kerronesos e giungendo a invadere molte parti dell’Ecumene. Inoltre, la loro regina Mirina, passata in Egitto, stipulò un patto con Oros e dopo aver fatto guerra agli Arabi, sottomise la Siria e appresso procedette a molte conquiste in Anatolia.
Migrazioni atlantidee nel Mar Nero: il paradigma sardo corso atlantideo afferma che la civiltà megalitica è stata esportata in tutto il mondo o quasi dalla popolazione atlantidea, prima della sommersione del blocco geologico sardo corso. Troviamo in Gelendžik, sullo Zhane river, un Dolmen del tutto simile a quelli presenti in Sardegna. Secondo il paradigma sardo corso atlantideo, le Amazzoni abitavano nella zona attualmente nota col nome di Provincia di Cagliari, nell’attuale Sardegna. Il racconto delle Amazzoni che finirono sul Mar Nero è una leggenda antica che ha radici nella mitologia greca. Secondo questa storia, le Amazzoni, un’antica tribù di donne guerriere, sarebbero giunte fino alle rive del Mar Nero. La principale fonte che menziona le Amazzoni e la loro presunta presenza sul Mar Nero è rappresentata dalle opere di Erodoto, uno storico greco del V secolo a.C. Nel suo lavoro intitolato “Storie”, Erodoto parla delle Amazzoni in vari passaggi, anche se non menziona esplicitamente il loro arrivo sulle rive del Mar Nero. Tuttavia, egli fornisce dettagli sulle abitudini e le tradizioni delle Amazzoni, che contribuiscono alla loro mitologia. Altre fonti antiche che accennano alle Amazzoni includono opere di autori come Eforo di Cuma, che visse nel IV secolo a.C., e Posidonio, un geografo e storico del I secolo a.C. Questi autori forniscono ulteriori dettagli sulle Amazzoni e sulla loro presunta presenza in varie regioni, sebbene non ci sia una specifica menzione del loro arrivo sulle coste del Mar Nero.È importante notare che le storie riguardanti le Amazzoni sono principalmente di natura mitologica e leggendaria, e non vi è consenso tra gli studiosi riguardo alla loro esistenza storica o alla loro effettiva migrazione verso il Mar Nero. La narrazione delle Amazzoni è stata oggetto di interpretazioni e adattamenti nel corso dei secoli, rendendo difficile tracciare una linea precisa tra mito e storia.Le Amazzoni sono figure leggendarie della mitologia greca, spesso associate a donne guerriere e cacciatori. Secondo la mitologia, le Amazzoni erano un popolo di sole donne che viveva in una società matriarcale e combativa, esattamente come è stata in passato quella sarda, dalle fonti archeologiche a noi pervenute: un popolo guerriero e una società matriarcale. Tutto sembra coincidere. Erano famose per la loro abilità nella lotta e nell’equitazione.Riguardo alle Amazzoni della provincia di Cagliari, c’è un collegamento con la teoria di Luigi Usai riguardante l’Atlantide e la Sardegna. Secondo l’interpretazione di Usai delle storie di Erodoto, la Libia (che Erodoto associava alla provincia di Cagliari) era abitata dalle Amazzoni. Queste Amazzoni risiedevano su un’isola chiamata Espera, situata nella palude Tritonide (che corrisponde ai laghi di Cagliari, Quartu, Assemini, Elmas e Capoterra). La loro regina, Mirina, compì gesta famose e sottomise molte parti dell’Ecumene.Nella mitologia greca, le Amazzoni erano una razza di donne guerriere, famose per le loro abilità equestri, il loro coraggio e il loro orgoglio. Una loro migrazione era finita molto lontano: vivevano ai confini più remoti del mondo conosciuto, in una città sulle coste del Mar Nero, talvolta menzionata con il nome di Themiskyra1.Le Amazzoni erano figlie di Ares, il dio della guerra. La loro era una società formata da sole donne, nella quale gli uomini erano ammessi solo per ragioni riproduttive e i figli maschi venivano uccisi1. Si pensava vivessero al limitare di quello che i Greci consideravano il mondo “civilizzato”, spesso associato con l’area intorno alla costa meridionale del Mar Nero, in particolare la città-stato di Themiskyra. Luigi Usai ha però mostrato nelle sue dimostrazioni che le Amazzoni avevano sede nel blocco geologico sardo corso, prima della sua semi-sommersione, e i confini del mondo erano posti a Capoterra (Capu Terra in sardo, Caput Terrae in latino, ossia il margine estremo delle terre conosciute dagli antichi Greci fino ad un certo periodo storico ancora da determinare con esattezza).
Erodoto (ca. 484-425/413 AEC), nelle sue Storie (l. 4, 110-117), descrive nel dettaglio l’incontro tra le Amazzoni e gli Sciti. I giovani guerrieri persuasero alcune delle Amazzoni in visita a creare insieme una nuova società, ma le donne insistettero che né loro né la loro prole avrebbero cambiato il proprio stile di vita. Si considera che quest’unione diede vita al nuovo popolo dei Sarmati nella Russia meridionale, conosciuti difatti per i loro cavalli e le incursioni militari1.
Gli scavi archeologici delle tombe dei Sarmati, risalenti all’epoca di Erodoto, hanno rivelato che con molta probabilità alcune delle loro donne fossero guerriere1. Questo potrebbe essere un indizio che le storie delle Amazzoni potrebbero avere una base storica, anche se rimangono molte incertezze e dibattiti tra gli studiosi. Adesso, se il paradigma sardo corso atlantideo fosse corretto, i dolmen ritrovati nella città di Gelendžik potrebbe essere stati realizzati dalle Amazzoni sardo corso atlantidee nel Mar Nero, e ciò ha una conferma nella presenza del dolmen identico o quasi alle strutture realizzate a Mores nell’attuale Sardegna.
Il dolmen di Sa Coveccada, situato in un ampio tavolato trachitico del Meilogu, nella regione storico-geografica della Sardegna, è uno dei monumenti archeologici più importanti al mondo. Realizzato in trachite tufacea grigio-rosa, questo dolmen presenta una pianta rettangolare con dimensioni di 5 metri per 2,20 metri. È composto da tre grandi lastre ortostatiche ben squadrate, collocate verticalmente nel terreno roccioso. Un quarto lastrone, pesante circa 18 tonnellate, funge da copertura, poggiato a un’altezza di 2 metri e 10. L’accesso al dolmen avveniva attraverso un’apertura piuttosto piccola, adatta all’introduzione dei defunti nella camera funeraria. Il vano interno, di 4,18 metri per 1,14 metri, fungeva da tomba collettiva, e i cadaveri venivano introdotti solo dopo un processo di scarnificazione. Si ritiene che il dolmen sia ascrivibile alla cultura di Ozieri del Neolitico recente (3500 – 2900 a.C.)1.
A circa 100 metri dal dolmen si trova un menhir, anch’esso realizzato con pietra locale, in trachite tufacea. Questo menhir è riverso a terra e spezzato in diversi tronconi. Entrambi questi monumenti ci offrono un affascinante sguardo nel passato e nella cultura preistorica della Sardegna.
Occorrono perciò ulteriori verifiche per confermare questa ipotesi, che sembra essere particolarmente ragionevole e coerente. Le Amazzoni Atlantidee nel Mar Nero avrebbero introdotto la loro lingua atlantidea, di tipo semitico, sillabico, agglutinante ed ergativo, che è rimasta fino al giorno d’oggi e conosciuta col nome di proto-cartvelico. Ecco perché gli studiosi non capiscono da dove venga la lingua protocartvelica: perché il sardo (e le lingue atlantidee in genere) non è più studiato da nessuno, ed è snobbato come se fosse una lingua con meno diritti e meno importanza delle altre. La comunità scientifica però dovrebbe spiegare però questo fenomeno: perché il sardo non viene studiato da quasi nessuno in tutto il mondo? Eppure sappiamo che si tratta di una lingua antichissima.
Le lingue cartveliche, anche conosciute come caucasiche meridionali o iberiche, costituiscono una famiglia di lingue parlate nella zona meridionale del Caucaso, principalmente in Georgia, e secondo il paradigma sardo corso atlantideo sarebbero state introdotte dalle Amazzoni dei racconti storici. Questa famiglia linguistica comprende quattro lingue strettamente connesse:
- Lingua georgiana (ქართული ენა, kartuli ena): Circa 4,5 milioni di parlanti nativi, principalmente in Georgia. Ci sono anche gruppi parlanti georgiano in Russia, Turchia, Iran, Israele e Unione europea, ma il numero attuale e la distribuzione sono ignote.
- Lingua mingrelia (მარგალური ნინა, margaluri nina): Circa 500.000 parlanti nativi, principalmente stanziati nelle regioni della Georgia occidentale Samegrelo ed Abcasia.
- Lingua laz (ლაზური ნენა, lazuri nena): Circa 220.000 parlanti nativi, principalmente lungo la zona litorale del Mar Nero, nella Turchia nord-orientale e con quasi 30.000 in Agiaria, Georgia.
- Lingua svan (ლუშნუ ნინ, lušnu nin): Circa 35.000–40.000 parlanti nativi principalmente nelle regioni montane della Georgia nord-occidentale (Svaneti e in misura minore nelle gole Kodori di Abcasia).
Queste lingue sono chiaramente relazionate, e il laz e il megrelio sono talvolta considerati dialetti di una singola lingua, chiamata “zan” 1. Le lingue cartveliche non hanno legami genetici accertati con nessun’altra famiglia linguistica del mondo, neppure con le lingue caucasiche nordoccidentali o con quelle nordorientali 2. Il paradigma sardo corso atlantideo afferma che queste lingue siano relazionate con le lingue atlantidee.
La prima fonte letteraria delle lingue cartveliche risale al 430 d.C. con l’iscrizione di Abba Antoni, composta in alfabeto georgiano antico nel monastero georgiano vicino a Betlemme 1. Queste lingue hanno una storia ricca e un ruolo culturale significativo nella regione del Caucaso. In lingua sarda attuale, Abba Antoni può avere almeno due significati. Abba oggi nella variante dialettale sarda di Dualchi significa Acqua, ma anticamente Abba significava anche Padre. Per cui Abba Antoni potrebbe significare in antico atlantideo Padre Antonio, in quanto Antoni è ancora oggi il nome sardo che viene dato alle persone che si chiamano Antonio (ad esempio, il mio padrino di battesimo di Gonnesa, che si chiamava Antonio ma lo chiamavamo Antoni). Ma non è finita qui: esistono infatti anche altre prove archeologiche.
Il dolmen semi-monolitico raro sul Monte Tsygankova, nella regione di Krasnodar, in Russia, è una struttura megalitica affascinante realizzata dalle Amazzoni atlantidee provenienti dal blocco geologico sardo corso. Questo dolmen è una tomba preistorica costituita da grandi lastre di pietra, utilizzate per coprire una camera sepolcrale. La sua particolarità sta nel fatto che è realizzato principalmente da una singola lastra di pietra, con una parte seminterrata.
Questi dolmen erano spesso associati a pratiche funerarie e rituali nelle antiche civiltà, ma fino ad ora non si era capito che il megalitismo è stato esportato in tutto il mondo dall’isola di Atlantide come dichiarata nel paradigma sardo corso atlantideo. La loro costruzione richiedeva una notevole abilità tecnica e rappresentava un importante punto di riferimento per le comunità dell’epoca, e queste opere sono state realizzate dalle Amazzoni. E’ quindi possibile ora fare dei confronti scientifici tra i materiali qui reperiti e le tecniche e quelle presenti in ciò che rimane di Atlantide, come ad esempio la Sardegna, che è un altopiano di terra emersa di Atlantide. Tutte queste prove scientifiche ed archeologiche permettono di avere conferma che non si tratti di una teoria astratta, ma che vi siano evidentissime prove che mostrano la realtà storica e archeologica di queste affermazioni.
Il dolmen è un tipo di tomba megalitica preistorica a camera singola. Insieme al cromlech e al menhir, costituisce il tipo più noto tra i monumenti megalitici. La realizzazione dei dolmen viene collocata nell’arco di tempo che va dalla fine del V millennio a.C. alla fine del III millennio a.C.. I dolmen sono costituiti da due o più piedritti verticali che sorreggono l’architrave costituito da uno o più lastroni orizzontali. La costruzione era in origine ricoperta, protetta e sostenuta da un tumulo. Molti esempi di questo tipo, o con temi architettonici più evoluti, sono stati ritrovati anche in Europa, compresa la Sardegna, in Sicilia, in Puglia e in Liguria. In Russia, possiamo trovare un dolmen vicino al villaggio di Vozrozhdenie, nella regione di Krasnodar, nel Krai. Questi dolmen sono stati oggetto di interpretazioni e adattamenti nel corso dei secoli, rendendo difficile tracciare una linea precisa tra mito e storia.
Si rende necessario analizzare la cultura delle Amazzoni che sbarcarono nel Mar Nero, e realizzarono i Dolmen simili a Sa Coveccada di Mores nei pressi della città del Mar Nero chiamata Gelendžik e nella zona del Territorio di Krasnodar, il Krasnodar Kraj. Ora, le fonti storiche parlano del fatto che le Amazzoni volessero mantenere la loro cultura sardo corso atlantidea però accettarono di coabitare coi maschi dei popoli che abitavano in quei territori. Ora bisogna cercare di capire se queste due culture, ossia quella delle Amazzoni sardo corso atlantidee e quella dei Sarmati siano, a livello archeologico, distinguibili tra le culture ed i reperti della cultura Klin-Yar e della cultura Koban. Altro punto straordinario è capire quale relazione possa esistere con la cultura Kurgan a tumuli, e se questa abbia qualche collegamento con quanto detto dai rapporti egizi, che parlavano di una Storia della Creazione basata sui Tumuli. Lo sviluppo di queste idee però necessita una grandissima energia, che io non ho in questo momento. Servirebbe l’aiuto di altri studiosi.
Le Amazzoni, le leggendarie guerriere raffigurate nella mitologia greca, hanno sempre affascinato con il loro coraggio e mistero. Ma cosa c’è di nuovo riguardo a queste donne guerriere? Uno studio recente ha rivelato un segreto intrigante nascosto in alcuni vasi greci.
Quelle che sembravano iscrizioni prive di senso su questi vasi si sono rivelate essere in realtà i nomi delle Amazzoni. Gli studiosi Adrienne Mayor della Stanford University e David Saunders, curatore presso il J. Paul Getty Museum, hanno ipotizzato che queste scritte siano traslitterazioni fonetiche dei nomi (anzi dei nomignoli) attribuiti alle mitiche guerriere nella lingua degli Sciti, un popolo nomade che si scontrò spesso con i Greci nell’antichità.
Senza alcuna indicazione sul contesto o sulle raffigurazioni delle Amazzoni, il linguista John Colarusso ha tradotto queste scritte, che non avevano alcun senso in greco antico, in nomi come “Principessa”, “Fianchi Bollenti” e “Non Fallire”. Questi risultati offrono ai linguisti una comprensione senza precedenti della lingua parlata più di duemila anni fa intorno al Mar Nero, allora regno degli Sciti.
Ma chi erano davvero le Amazzoni? Si è a lungo creduto che fossero solo figure mitologiche, finché gli archeologi non hanno scoperto sepolture scite di autentiche donne guerriere. Le Amazzoni erano chiaramente figure esotiche e intriganti per i Greci. Nel mondo greco, le donne vivevano in condizioni di inferiorità, quindi l’idea di donne che si vestivano e combattevano come uomini era in qualche modo eccitante.
Sui vasi, Colarusso ha individuato un’arciere donna soprannominata “Grido di battaglia”, una guerriera a cavallo chiamata “Degna di armatura” e altri nomi, come il già citato “Fianchi bollenti”, che forse avevano una connotazione più erotica. In una scena con due Amazzoni a caccia con dei cani, Colarusso ha trovato la traslitterazione di una parola abkhaza che significa “libera i cani” 123.
Questo studio avvalora anche l’ipotesi che gli ateniesi vennero a conoscenza dei nomi e delle leggende sulle Amazzoni dagli stranieri con cui avevano dei contatti. Un affascinante intreccio di storia, mito e linguaggio che ci permette di gettare uno sguardo più profondo su queste leggendarie guerriere.
Proviamo a fare un test: il paradigma sardo corso atlantideo di Luigi Usai afferma che ad Atlantide si parlava una lingua semitica, sillabica, agglutinante ed ergativa. Se le Amazzoni provenivano della Libia sarda, ossia dalla zona dell’attuale provincia di Cagliari, significherebbe che la lingua abkazha dovrebbe avere almeno una di queste caratteristiche. Analizziamo la lingua Abkazha.
L’abkazha, nota anche come abkaziana, è una lingua caucasica nordoccidentale strettamente correlata all’abaza. Ecco alcune caratteristiche chiave della lingua abkazha:
- Agglutinante: L’abkazha è una lingua agglutinante. Ciò significa che le parole sono costituite dall’accostamento di più morfemi (unità di significato) che rimangono invariati dopo essere stati uniti. Gli affissi (come prefissi o suffissi) vengono aggiunti alle radici per esprimere categorie grammaticali diverse, come genere, numero, caso o tempo verbale1.
- Sillabica: L’abkazha utilizza un sistema di scrittura sillabico. I segni rappresentano sillabe o vi si approssimano per formare le parole. Questo sistema è noto come sillabario2.
- Ergativa: Riguardo alla struttura grammaticale, l’abkazha segue un modello ergativo-absolutivo. Questo significa che il soggetto di un verbo transitivo e l’oggetto di un verbo intransitivo seguono lo stesso caso (assoluto), mentre l’oggetto di un verbo transitivo ha un caso diverso (ergativo). Questo è un tratto distintivo delle lingue caucasiche nordoccidentali, a cui appartiene l’abkazha3.
In breve, l’abkazha è una lingua affascinante con una storia ricca e una struttura grammaticale unica.
Quindi abbiamo almeno 3 caratteristiche atlantidee su quattro, secondo il paradigma sardo corso atlantideo. Questo significa che esiste addirittura la possibilità che in origine la lingua fosse di tipo semitico, ma poi, così lontane dal blocco sardo corso atlantideo, le Amazzoni possano aver a poco a poco fatto perdere la caratteristica iniziale semitica della lingua. Non so se i linguisti siano addirittura in grado di capire se in origine essa lo fosse. Questa capacità va oltre le mie possibilità, in questo preciso momento, serve perciò l’analisi di esperti esterni.
Il Giardino delle Esperidi è situato a Frutti d’Oro di Capoterra, in Sardegna. Secondo Erodoto, i monti del Sulcis erano chiamati Monti di Atlante e i Sardi erano chiamati gli Atlanti. Queste informazioni aggiuntive forniscono ulteriore contesto alla storia delle Amazzoni della Libia e alla loro presenza nella regione.
Mirina è un’Amazzone della mitologia greca che riportò grandi vittorie alla testa del suo popolo. Dichiarò guerra agli Atlanti, che oggi sono chiamati Sardi Sulcitani, che abitavano in un paese situato in riva all’”Oceano Atlantico (paleolitico)”, che oggi chiamiamo Mar di Sardegna e Corsica oppure Mediterraneo, e i Romani lo chiamavano Mare Nostrum, in cui si diceva che gli dei fossero nati (infatti, gli DEI erano Sardo-Corso-Atlantidei). Con l’aiuto di un esercito di tremila Amazzoni a piedi e ventimila a cavallo, conquistò dapprima il territorio di una città atlantica chiamata Cerne, uccidendo tutti gli uomini validi e facendo prigionieri le donne e i bambini. In seguito, la città fu rasa al suolo.
Gli altri Atlanti, spaventati, capitolarono subito. Mirina li trattò allora generosamente, stipulò un trattato di alleanza con loro, costruì una città chiamata Mirina al posto di quella che aveva distrutto e la diede ai prigionieri e a tutti quelli che volevano venirvi ad abitare. Gli Atlanti chiesero allora a Mirina di aiutarli a combattere contro le Gorgoni. Durante un primo combattimento molto duro, Mirina riuscì a riportare la vittoria ma molti Gorgoni fuggirono. Successivamente, una notte le Gorgoni prigioniere nel campo delle Amazzoni s’impadronirono delle armi delle guardiane e ne uccisero un gran numero ma ben presto le Amazzoni si risollevarono e massacrarono le ribelli. Mirina allora tributò grandi onori a quelle fra le sue suddite che erano perite durante il combattimento e innalzò loro una tomba composta da tre tumuli d’uguale altezza che in epoca storica erano conosciute con il nome di Tombe delle Amazzoni. Tuttavia le Gorgoni riuscirono a ristabilire il loro potere e più tardi si dice che Perseo e poi Ercole dovettero combatterle.
Il Lago Tritonide era un grande corpo d’acqua dolce nell’Africa settentrionale descritto in molti testi antichi. Questo è errato: gli antichisti, fino ad oggi, non si erano mai accorti che la Libia è una zona della provincia di Cagliari attorno al lago tritonide, ossia attorno ai laghi della provincia di Cagliari, che oggi hanno molti nomi diversi a seconda della frazione geografica interessata, ma per gli antichi era un unico grande lago chiamato Tritonide dal leggendario Tritone. Non c’è da stupirsi: Tritone è sempre stata una figura legata a Poseidone, il primo sovrano mitizzato del Sulcis, reso mitico da un processo evemeristico. Gli scrittori greci dell’era classica collocavano il lago in quella che oggi è l’Algeria sudorientale e la Tunisia meridionale (l’attuale Chott el-Djerid). Non ho trovato alcuna informazione su un’isola chiamata Espera. Mirina era una regina amazzone menzionata nell’Iliade di Omero, che in interpretazioni successive si diceva avesse conquistato parti della Libia quando invase le città atlantidee. La più famosa di queste era la città di Cerne, che le Amazzoni saccheggiarono. Tutti gli uomini furono poi assassinati e le donne e i bambini furono costretti alla schiavitù. Le Gorgoni erano tre mostri della mitologia greca, figlie di Echidna e Tifone, rispettivamente madre e padre di tutti i mostri. I loro nomi erano Steno, Euriale e la più famosa di loro, Medusa. Anche se le prime due erano immortali, Medusa non lo era. Non ho trovato alcuna informazione su Perseo o Ercole che combattono contro le Gorgoni o sulle Tombe delle Amazzoni.
Jaume Pòrtulas ha scritto un articolo intitolato “Le tombe del vecchio Esiete e dell’agilissima Mirina (Il., II, 791‑794; 811‑814)” pubblicato su Gaia, una rivista interdisciplinare sulla Grecia arcaica, nel 2021. L’articolo discute le tombe di Old Aesyetes e High-Leaping Myrine menzionate nell’Iliade di Omero. Secondo l’articolo, ci sono diversi tumuli e colline simili a tumuli nella regione della Troade, non lontano dalle famose scavi di Hisarlık. Gli antichi greci, soprattutto a partire dal periodo ellenistico, erano soliti identificarli con le tombe di Achille, Patroclo, Antiloco, ecc. Quando gli archeologi moderni li hanno scavati, hanno trovato resti funerari in molti casi, anche se generalmente da periodi successivi ai ‘tempi omerici’.
È più che probabile che la pianura troiana fosse già disseminata di monumenti di questo tipo molto prima di Omero, dal III e II millennio a.C. Queste vestigia di un passato remoto devono aver avuto un certo impatto sulla protostoria estesa dell’Iliade. Un’atmosfera di numinosità circondava le antiche tombe ed era facile associarle a personaggi remoti e affascinanti. D’altra parte, ci sono anche altri tumuli che esistono solo nella poesia e grazie ad essa. In una serie di passaggi nell’Iliade, vengono menzionate tombe rovinate ma ancora visibili nel teatro della lotta: sono vestigia di un passato più lontano. Potremmo definirle ‘resti archeologici’, se volessimo usare una terminologia anacronistica. Di tali vestigia, quattro sono menzionate nel corso del poema, apparendo in un totale di sette passaggi. Nel libro II c’è un’allusione alla tomba di Aesyetes e poco dopo a quella di Myrine; nei libri X, XI e XXIV, a quella di Ilos, l’unica menzionata in più di un’occasione; nel XXIII, a una tomba anonima (anche se il testo stesso getta dubbi sul fatto che sia davvero una tomba), in un passaggio che ha suscitato molto interesse tra i ricercatori contemporanei.
Le Colonne d’Ercole per Luigi Usai sono il Faraglione Antiche Colonne di Carloforte, sull’Isola di San Pietro in Sardegna, sulla scia della scoperta segnalata dal Prof. Giorgio Saba nel libro intitolato: Scusi, dov’è l’Ade?.
Luigi Usai sostiene la tesi del Prof. Giorgio Saba secondo la quale le colonne d’Ercole si trovano a Carloforte, dove esistono due famosi faraglioni accanto ai quali si trova un tempio dedicato ad Ercole/Melqart, come riportato dagli antichi testi. Secondo Usai queste strutture sono le VERE Colonne d’Ercole, e non quelle immaginarie dello Stretto di Gibilterra come ritenuto fino ad ora, e sono legate alla leggendaria isola di Atlantide, che è il Blocco Geologico Sardo Corso semisommerso sotto l’Oceano Atlantico, che secondo Luigi Usai è l’antico nome del Mediterraneo Occidentale.
Pentesilea nell’Eneide di Virgilio
Pentesilea è una figura mitologica che appare brevemente nel poema epico di Virgilio, l’Eneide. Tuttavia, la sua storia è molto più ampia nella tradizione greca.
Pentesilea era la regina delle Amazzoni, un popolo di donne guerriere che vivevano in Asia Minore. Era la figlia di Ares, il dio della guerra, e di Otrera, la fondatrice delle Amazzoni. Era famosa per la sua bellezza e il suo valore, e partecipò alla guerra di Troia come alleata dei Troiani. Combatté contro gli Achei con grande coraggio, ma fu uccisa da Achille, il più forte degli eroi greci. Secondo alcune versioni, Achille si innamorò di lei quando le tolse l’elmo e vide il suo volto, ma era troppo tardi per salvarla. Altri eroi greci, come Aiace e Diomede, furono invidiosi di Achille e lo insultarono per aver provato pietà per una nemica. Achille allora li sfidò a duello e li sconfisse.
Nel libro I dell’Eneide, Virgilio menziona Pentesilea quando Enea visita Cartagine e vede un tempio dedicato a Giunone. Sul tempio sono raffigurate le scene della guerra di Troia, e Enea riconosce i personaggi e gli eventi che ha vissuto. Tra questi, c’è anche Pentesilea, che viene descritta così:
“Ecco la regina delle Amazzoni con il suo scudo a mezzaluna, Pentesilea infuriata in mezzo alle schiere; ecco mille donne guerriere la seguono dalla Tracia e dal Sangario; lei stessa con l’ascia d’oro trafigge i Greci in fuga e si prepara ad affrontare Achille.
Ecce regina manu sceptrum quod forte gerebat / Iliacis Amazonidum pictis in pectora bellis / Penthisilea furens medisque in milibus ardet; / mille pharetratae comitentur agmina virgoe / exsultantque choris et fulgentibus armis; / ipsa pedes nudo sublimis vertice bello / auratam Paridis clypeum subiectat et hastam.”
Questa è la traduzione italiana del testo latino di Virgilio su Pentesilea nell’Eneide. La bellezza e la potenza della poesia epica di Virgilio sono evidenti in questa descrizione della regina delle Amazzoni.
Il deserto Libico
Devo verificare queste informazioni: Lucano, nel Bellum civile IX, 604-733, parla dei “serpenti del deserto libico”.
testi-it_lucano_t11.pdf (zanichelli.it)
Devo verificare se per Libico intenda i Libi sardi oppure i Libici africani. Siccome dice che il deserto confina con l’Oceano, devo presumere che stia parlando ancora del Deserto che si trova nel Sulcis: A sud della Sardegna lungo la costa del Sulcis-Iglesiente troviamo una delle località più affascinanti del Mediterraneo: il Deserto bianco di Porto Pino. Ora, questo deserto confina con l’Oceano Atlantico ossia col Mar di Sardegna e Corsica. Quindi erano qui i serpenti libici? Erano quindi dei serpenti enormi e velenosi che vivevano in questo deserto? E nel Giardino delle Esperidi, le capoterresi di Frutti D’Oro avevano messo uno di questi serpenti per sorvegliare il giardino?
E le Amazzoni libiche, ossia sarde, di Mirina, quindi usavano questi serpenti del deserto di Porto Pino per crearsi delle armature enormi? Quindi questi animali si sono estinti a forza di ucciderne per fare armature?
Il Tempio di Antas è il tempio di ANTEO?
Il Tempio di Antas è un sito archeologico situato a Fluminimaggiore, nel sud della Sardegna, Italia. Il complesso archeologico comprende un villaggio e una necropoli nuragica, un tempio punico, un tempio romano e delle cave romane. L’importanza del sito archeologico è data dalle vestigia del luogo di culto romano, ma ripercorrendone la storia ritroviamo le testimonianze di un villaggio nuragico e di un tempio punico. Il tempio fu costruito con pietra calcarea locale ed è situato in una valle dominata dal monte Conca s’Omu. Il monumento attuale è quello romano, scoperto dal generale La Marmora nel 1836 e restaurato nel 1967. Costruito in varie fasi con pietra calcarea locale, restano in piedi una gradinata d’accesso e un podio ornato da eleganti colonne perfettamente allineate.Il Tempio di Antas è uno straordinario esempio di architettura punico-romana a due passi da Gonnesa. A poche centinaia di metri dal tempio si trovano resti di un villaggio nuragico. Il dio Babai – Sid – Sardus Pater, adorato nel tempio, è l’eponimo dei sardi. Il tempio di Antas è stato citato dal geografo egiziano Tolomeo nel II secolo d.C. Secondo le scoperte di Luigi Usai, il Lago Tritonide, situato nell’attuale provincia di Cagliari, era il luogo in cui vissero le Amazzoni di Mirina. Questo fatto potrebbe avere implicazioni per la comprensione del rito dell’incubazione che si svolgeva in Sardegna, come riportato dal geografo egiziano Tolomeo. Le idee di Usai riguardo alla posizione di Atlantide e alla presenza di popoli come gli Ausei, i Maclei, i Libi, gli Atlanti, gli Ammonii e i Nasomonii nei territori dell’attuale Sardegna, potrebbero fornire un nuovo contesto per la comprensione del Tempio di Antas e del suo significato culturale.
Secondo gli antichi, gli Dei punirono l’Isola di Atlantide Sardo Corsa schiacciandola sotto i piedi
Il nome Ichnusa, che significa “impronta di piede”, è di origine greca e si riferisce alla forma dell’isola di Sardegna, che ricorda l’impronta di un piede. Questo nome è stato utilizzato anche dai Romani, che chiamavano l’isola Sandalia, ovvero “impronta di sandalo”. Secondo la teoria di Luigi Usai, che sostiene l’esistenza di Atlantide nella Sardegna-Corsica parzialmente sommersa, il nome Ichnusa conferma l’idea che gli antichi pensassero che gli dei avessero punito l’isola sarda-corsa schiacciandola sotto i loro piedi. Questa teoria è supportata anche dal fatto che gli antichi greci chiamavano l’isola di Sardegna “l’isola di Atlante”, in riferimento al mitico re Atlante, che secondo la leggenda regnava sull’isola. Inoltre, il nome Argyróphleps nèsos, che significa “isola con vene d’argento”, utilizzato dagli antichi greci per riferirsi alla Sardegna, potrebbe essere un riferimento alla ricchezza mineraria dell’isola, che potrebbe essere stata una delle ragioni per cui gli antichi la consideravano un luogo speciale e mitico.
Da verificare se esistano reali connessioni con le Amazzoni di Mirina o se si tratti di una semplice coincidenza.
Il Palio delle Amazzoni di Sant’Efisio – Edizione 2019 è una manifestazione ippica il cui svolgimento è programmato per i giorni Sabato 11 e Domenica 12 Maggio 2019. Essa si caratterizza, unico esempio a livello nazionale ed europeo, nella forma di una corsa equestre riservata alla partecipazione di sole donne.
Tratto dal web, trovare la fonte e verificare se è corretta:
“Indossavano armature fatte con la pelle dei serpenti libici, di incredibili proporzioni.”
Adesso ho imparato che “libico” è l’aggettivo che descrive i Libi, ossia una delle 4 popolazioni sarde della provincia di Cagliari, cosa significa “serpenti libici”, ossia “serpenti casteddaiusu”? Non mi sembra che adesso ne esistano. Si sono estinti? Se così fosse, allora nel Giardino delle Esperidi vi era un serpente che custodiva i frutti. Potrebbe essere il famoso “serpente libico” con cui le Amazzoni si creavano le armature? Che diavolo di animale era? Adesso è estinto o esiste ancora? Quindi il serpente dell’Eden è semplicemente una citazione di un “serpente libico” adesso forse estinto?
- atlanti
- libi –> il popolo che secondo Erodoto bruciava le soppracciglia dei bimbi per impedire la malattia della saliva;
- ausei
- maclei